giovedì 23 febbraio 2017

Se continueremo

I miei pensieri, tradotti da Gio Evan in magnifica poesia




Se continueremo
a non incontrarci mai
per le troppe mancate coincidenze
per via dei treni opposti
le strade lunghe
o i nuovi sette pianeti terra
andrà a finire che
diventeremo deboli
e non avremo più la forza
di inseguirci
di cercarci
di provare a stringerci

se continueremo così
a non incrociarci mai
a perderci per un pelo
a mancarci per tanto così
o per così poco
prima o poi
mi stancherò
invecchierò
e mi farò sempre più debole
troppo debole per camminare
con una vista troppo appannata
per riconoscerti
tra gli altri volti travolti

se continueremo così
a mancarci ogni volta
a sfuggirci di vista
a non incontrarci
finirà che non ci troveremo mai

ma grazie a dio
oggi
è un giorno buono
oggi è ancora un giorno buono
perché sono forte
forte per cercarti ancora.

venerdì 17 febbraio 2017

Un incontro inaspettato

Caro Prof, non mi aspettavo di rincontrarla!
Avevo saputo della sua prematura morte dai tg e la notizia mi aveva molto addolorata. Subito mi erano tornate alla mente le sue lezioni il sabato mattina, in un'aula raccolta e non troppo affollata. Più che lezioni chiacchierate informali, che lei arricchiva di vari aneddoti legati alle frequentazioni avute con tanti musicisti e cantautori italiani. 
Imbattermi nella sua ultima casa è stata una pura combinazione. Macchina fotografica al collo, mi trovavo in questo piccolo cimitero, a ridosso della Piramide, per fare qualche scatto ai monumenti funerari più noti. Ho girovagato per i viali un paio d'ore, soffermandomi estasiata dinanzi all'Angelo del dolore, andando in cerca delle tombe di famosi poeti inglesi, imbattendomi in quella del figlio di Goethe. Suggestionata da alcuni versi di Pasolini, che martellavano da un piccolo angolo di memoria, mi sono spinta fino all'estremità del "buio giardino straniero" per far visita alle ceneri di Gramsci. Ecco, tornavo proprio da lì, e un po' stancamente mi stavo avviando verso l'uscita. All'improvviso ho avvertito un impulso nella testa, una voce che mi ha detto: gira gli occhi intorno, guarda se riconosci qualcuno. Lo sguardo si è indirizzato verso il basso, ora a destra ora a sinistra. E si è fissato sulla sua lapide.
Ho provato un piacevole stupore. Lei qui, tra artisti e intellettuali! Lasciar deperire le proprie spoglie mortali in questo luogo mi è sembrato un privilegio. Sicuramente una scelta coerente con le sue idee.
Combattete per i vostri diritti ma fatelo con grazia. Bell'epitaffio!
Mentre leggevo queste parole mi sembrava di sentire la sua voce, di riconoscere la sua semplicità e gentilezza. Ho sorriso ripensando ad Eva. 
Prof, probabilmente non ha mai saputo della gioia che, senza rendersene conto, le ha donato. Eva ed io seguivamo il suo corso di Sociologia della Musica. La nostra amicizia è iniziata lì ed è durata il tempo di qualche altro esame. Eravamo due studentesse mature rispetto alla platea di ventenni, e l'affinità anagrafica ci aveva avvicinate. Ci scambiavamo appunti e qualche chiacchiera. 
Una mattina, Eva mi ha preso da parte. Avvertiva il bisogno di confidare a qualcuno un'emozione che non poteva più tenersi dentro. Era di buonumore come al solito. Queste lezioni del sabato non la infastidivano minimamente, anzi. Sembravano l'appuntamento più atteso della settimana. Semplice e diretta mi ha detto: Gianni Borgna è quasi identico a mio padre, gli somiglia in tutto. Le si erano fatti gli occhi lucidi al pensiero. Il padre era morto qualche anno prima e l'assenza era ancora un dolore tangibile. Ritrovarlo in un'aula universitaria, nelle vesti di docente, era stato come ristabilire un contatto. Una figlia innamorata del suo papà, figura che probabilmente nessun altro uomo era riuscito ad eguagliare. Eva era talmente convinta di non ingannarsi, che una volta ha pensato di portare con sé a lezione pure la madre. Voleva una conferma definitiva nonché condividere con lei quella specie di dono.
Chissà cosa pensa un professore mentre spiega e ha dinanzi a sé tutte quelle facce che lo osservano. Chissà cosa capta negli occhi di ciascuno studente. Chissà se a lei, Prof, è arrivato un po' di quel sentimento di Eva. Chissà se Eva, il 20 febbraio di tre anni fa, ha provato di nuovo il dolore di un lutto.
Caro Prof, a me è sembrata una bella storia e gliel'ho voluta raccontare. Può darsi che, in futuro, capiti di nuovo dalle sue parti. Nel caso non mancherò di venire a farle un saluto.

[...]
Qui il silenzio della morte è fede
di un civile silenzio di uomini rimasti

uomini, di un tedio che nel tedio
del Parco, discreto muta: e la città
che, indifferente, lo confina in mezzo

a tuguri e a chiese, empia nella pietà,
vi perde il suo splendore. [...]

(Le ceneri di Gramsci, P.P. Pasolini, 1954)

mercoledì 4 gennaio 2017

2017



Avevo bisogno di chiudere un anno e iniziarne un altro con leggerezza, un sorriso e un pizzico di romanticismo. E per far questo ho scelto due ottimi compagni di viaggio.
La fine del 2016 mi è parsa una riedizione di stati d'animo dell'anno precedente. Solo che allora una certa tristezza l'avevo smaltita in compagnia di altre persone, nell'arco di tre giorni di belle camminate nell'incantevole Umbria. Stavolta, invece, mi sono ritrovata - ma alla fine l'ho scelto io - a tu per tu con i miei pensieri, senza nessuno intorno.
Con sorpresa ho scoperto che la solitudine può anche aiutare a depurare il cervello, a lasciarlo libero di trovare da sé i suoi meccanismi di difesa. In qualche modo è stato terapeutico. Mi sono resa conto che passare del tempo insieme agli altri deve essere sempre una libera scelta e non la ricerca affannosa di un modo per trascorrere le feste comandate. E ciò vale non solo per il Capodanno.

mercoledì 3 agosto 2016

Dario Fo all'Auditorium



Era cominciata così. Una mattina di giugno una mia amica mi chiama e mi dice: senti, tutti i grandi di una certa generazione se ne stanno andando. Il 16 c'è Dario Fo all'Auditorium... che dici? O adesso o mai più!
Resto un attimo senza fiato. Penso ad Albertazzi che è scomparso da poco, penso ai 90 anni che Dario, senza la sua Franca, ha festeggiato di recente. Mi passa davanti agli occhi la sua lunghissima carriera, che purtroppo ho seguito poco. Mi rammento che è lui l'ultimo intellettuale italiano ad aver ricevuto un Nobel per la letteratura. Insomma, in un flash decido che sì, devo poter dire di averlo visto, almeno una volta nella vita, recitare dal vivo. Sì, è giusto e doveroso portargli il mio applauso.
Pochi giorni dopo, quindi, andiamo a prendere i biglietti: pochissimi i posti disponibili e tutti molto in alto e laterali. Un dettaglio di cui non ci interessa granché... l'importante è esserci.
Era una di quelle giornate di giugno dal clima insolito. Tornando alla macchina ci diciamo: speriamo che la sera dello spettacolo non faccia freddo. Siamo felici perché ci sembra di avere con noi un pezzo di storia, un appuntamento cui non si poteva proprio mancare. Siamo così entusiaste che nel pomeriggio che resta decidiamo di regalarci qualcos'altro di bello. Al Palazzo delle Esposizioni c'è la mostra di Gianni Berengo Gardin, l'autore delle famose immagini delle navi da crociera "dentro" Venezia. È lì che ci dirigiamo, è da lì che riemergiamo dopo un paio d'ore, come al solito stanche e con la schiena dolorante, ma consapevoli del fatto che non potremmo farne a meno, costi quel che costi.
Al momento di salutarci la mia amica mi chiede: tengo io entrambi i biglietti o ciascuna si prende il suo? Casomai... per qualche motivo... Ma no, faccio io, comunque abitiamo talmente vicine...
Arriva il fatidico 16 giugno ma, in tarda mattinata, un comunicato da parte dell'Auditorium fa sapere che lo spettacolo è annullato a causa di una bronchite che ha colpito Dario Fo. Segue una lunga dichiarazione da parte dello stesso Fo, che si dice dispiaciutissimo perché Roma è una città molto cara sia a lui che a Franca, ci hanno vissuto tre anni, qui è nato il loro figlio Jacopo, qui hanno rappresentato la prima di circa metà dei loro spettacoli. 
L'appuntamento con il suo pubblico è rimandato al 1° agosto.
E siamo, quindi, a ieri.
La mia amica, che tanto ci teneva, ha dovuto rinunciare perché si trova all'estero per le vacanze. Al suo posto è venuta mia madre.
Una data sola, Auditorium strapieno.
Devo ammetterlo, mi sono commossa nel vedere Dario Fo apparire sul palco. Ho avuto subito la sensazione di trovarmi di fronte a un gigante, un artista-mostro, uno come non ce ne saranno più probabilmente. Energico di voce, lucidissimo di testa, vitale, resistente al fiaccamento imposto dal passare degli anni.
Delle sue giullarate rimane ben poco, a livello di fisicità e gestualità. Ma la capacità affabulatoria, il magnetismo che riesce ad esercitare sul pubblico, la bravura nel trascinarlo dentro il suo gioco e i suoi tempi comici, questo mi resterà dentro per sempre. Non c'è niente da fare, il teatro è il teatro. La presenza in vivo dell'attore trasmette vibrazioni che non potranno mai passare attraverso alcuno schermo.
Sì, valeva la pena esserci, applaudirlo, ringraziarlo per aver migliorato noi e aver fatto conoscere al resto del mondo uno dei molteplici aspetti della ricca cultura italiana. 
In finale della storia, la mia amica tra qualche giorno tornerà, dopo un mese on the road per gli States. Cambierà tre voli, transiterà per vari aeroporti, farà uno scalo di nove ore ad Istanbul. Ciò che mi aspetta, a breve, sarà ansia pura. Mi appellerò a tutta la razionalità di cui sono capace, non ascolterò notiziari per due giorni, aspetterò solo uno squillo di telefono o un messaggio con cui mi dirà che, purtroppo, è tornata.

giovedì 10 marzo 2016

Dialoghi surreali




Domenica mattina. Io e mia madre scambiate per due turiste per caso.
Arriviamo ai Mercati Traianei, entriamo nella biglietteria perché, anche se è giornata a ingresso gratuito, il biglietto deve essere emesso comunque.
Mi rivolgo alla ragazza dietro il bancone e dico: "Due ingressi".
Lei, senza neanche sollevare la testa: "23 euro"
"Scusi, ma non è la prima domenica del mese?"
"Sì", risponde lei "ma vale solo per i residenti a Roma e provincia".
Trascorre quella frazione di secondo in cui devo velocemente scegliere tra le varie risposte, più o meno gentili, che il cervello mi invia alla bocca. Quindi, come in altre situazioni grottesche, tento la strada dell'ironia.
Guardo mia madre, e al contempo la ragazza: "Ah, ma allora non sembriamo due romane?"
Ecco che da dietro il bancone si erge un ragazzo, anche lui addetto alla biglietteria. Assume una posizione eretta e statuaria e con tono grave insorge: "Lei, guardando me, potrebbe dire se sono di Roma oppure no?"
"Certamente no" rispondo, "ma perché, invece, di noi si dà per scontato che non lo siamo?"
Roma città impazzita, io ti voglio bene anche così! Mi basta un po' di sole, un bel panorama e tutto è perdonato.

mercoledì 17 settembre 2014

I Peanuts

Colpita da febbre tardiva da Peanuts! Questa storiella, pubblicata in strisce quotidiane da Il Post, è stata l'appuntamento fisso mattutino per due settimane. Con tutto il suo carico di pathos. Incondizionata solidarietà a Linus e uno scrosciante applauso per il finale!














mercoledì 6 novembre 2013

Amore di sé

AMORE DI SÉ

Quando ho cominciato ad amarmi davvero, mi sono reso conto
che la sofferenza e il dolore emozionali sono solo un avvertimento
che mi dice di non vivere contro la mia verità.
Oggi so che questo si chiama AUTENTICITÀ

Quando ho cominciato ad amarmi davvero, ho capito
com’è imbarazzante aver voluto imporre a qualcuno i miei desideri,
pur sapendo che i tempi non erano maturi e la persona non era pronta,
anche se quella persona ero io.
Oggi so che questo si chiama RISPETTO PER SE STESSI.

Quando ho cominciato ad amarmi davvero, ho smesso
di desiderare un’altra vita e mi sono accorto che tutto ciò che mi circonda
è un invito a crescere.
Oggi so che questo si chiama MATURITÀ.

Quando ho cominciato ad amarmi davvero, ho capito di trovarmi sempre
ed in ogni occasione al posto giusto nel momento giusto e che tutto quello
che succede va bene.
Da allora ho potuto stare tranquillo.
Oggi so che questo si chiama RISPETTO PER SE STESSI.

Quando ho cominciato ad amarmi davvero, ho smesso di privarmi del mio tempo libero e di concepire progetti grandiosi per il futuro.
Oggi faccio solo ciò che mi procura gioia e divertimento,
ciò che amo e che mi fa ridere, a modo mio e con i miei ritmi.
Oggi so che questo si chiama SINCERITÀ.

Quando ho cominciato ad amarmi davvero, mi sono liberato di tutto ciò
che non mi faceva del bene: cibi, persone, cose, situazioni e da tutto ciò
che mi tirava verso il basso allontanandomi da me stesso,
all’inizio lo chiamavo “sano egoismo”, ma oggi so che questo è AMORE DI SÉ

Quando ho cominciato ad amarmi davvero, ho smesso di voler avere sempre ragione. E cosi ho commesso meno errori.
Oggi mi sono reso conto che questo si chiama SEMPLICITÀ.

Quando ho cominciato ad amarmi davvero, mi sono rifiutato di vivere nel passato e di preoccuparmi del mio futuro.
Ora vivo di più nel momento presente, in cui TUTTO ha un luogo.
È la mia condizione di vita quotidiana e la chiamo PERFEZIONE.

Quando ho cominciato ad amarmi davvero, mi sono reso conto che il mio pensiero può rendermi miserabile e malato.
Ma quando ho chiamato a raccolta le energie del mio cuore, l’intelletto è diventato un compagno importante.

Oggi a questa unione do il nome di SAGGEZZA DEL CUORE.
Non dobbiamo continuare a temere i contrasti, i conflitti e i problemi con noi stessi e con gli altri perché perfino le stelle, a volte, si scontrano fra loro dando origine a nuovi mondi.
Oggi so che QUESTO È LA VITA!

(Charles CHAPLIN – in occasione del suo 70° compleanno. Tratto dal libro “Il Segreto del Cuore” di Ruediger Schache)

venerdì 4 gennaio 2013

Buon anno... con Leopardi

Pescare nella letteratura mi pare un buon modo per iniziare il nuovo anno. 
In questo dialogo si pongono domande non semplicissime, ma in fondo abbiamo 365 giorni per pensarci e, se non dovesse bastare, tutta la vita.



DIALOGO DI UN VENDITORE D'ALMANACCHI E DI UN PASSEGGERE

Venditore. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Bisognano, signore, almanacchi?
Passeggere. Almanacchi per l'anno nuovo?
Venditore. Sì signore.
Passeggere. Credete che sarà felice quest'anno nuovo?
Venditore. Oh illustrissimo sì, certo.
Passeggere. Come quest'anno passato?
Venditore. Più più assai.
Passeggere. Come quello di là?
Venditore. Più più, illustrissimo.
Passeggere. Ma come qual altro? Non vi piacerebb'egli che l'anno nuovo fosse come qualcuno di questi anni ultimi?
Venditore. Signor no, non mi piacerebbe.
Passeggere. Quanti anni nuovi sono passati da che voi vendete almanacchi?
Venditore. Saranno vent'anni, illustrissimo.
Passeggere. A quale di cotesti vent'anni vorreste che somigliasse l'anno venturo?
Venditore. Io? non saprei.
Passeggere. Non vi ricordate di nessun anno in particolare, che vi paresse felice?
Venditore. No in verità, illustrissimo.
Passeggere. E pure la vita è una cosa bella. Non è vero?
Venditore. Cotesto si sa.
Passeggere. Non tornereste voi a vivere cotesti vent'anni, e anche tutto il tempo passato, cominciando da che nasceste?
Venditore. Eh, caro signore, piacesse a Dio che si potesse.
Passeggere. Ma se aveste a rifare la vita che avete fatta né più né meno, con tutti i piaceri e i dispiaceri che avete passati?
Venditore. Cotesto non vorrei.

Passeggere. Oh che altra vita vorreste rifare? la vita ch'ho fatta io, o quella del principe, o di chi altro? O non credete che io, e che il principe, e che chiunque altro, risponderebbe come voi per l'appunto; e che avendo a rifare la stessa vita che avesse fatta, nessuno vorrebbe tornare indietro?
Venditore. Lo credo cotesto.
Passeggere. Né anche voi tornereste indietro con questo patto, non potendo in altro modo?
Venditore. Signor no davvero, non tornerei.
Passeggere. Oh che vita vorreste voi dunque?
Venditore. Vorrei una vita così, come Dio me la mandasse, senz'altri patti.
Passeggere. Una vita a caso, e non saperne altro avanti, come non si sa dell'anno nuovo?
Venditore. Appunto.
Passeggere. Così vorrei ancor io se avessi a rivivere, e così tutti. Ma questo è segno che il caso, fino a tutto quest'anno, ha trattato tutti male. E si vede chiaro che ciascuno è d'opinione che sia stato più o di più peso il male che gli e toccato, che il bene; se a patto di riavere la vita di prima, con tutto il suo bene e il suo male, nessuno vorrebbe rinascere. Quella vita ch'è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll'anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?
Venditore. Speriamo.
Passeggere. Dunque mostratemi l'almanacco più bello che avete.
Venditore. Ecco, illustrissimo. Cotesto vale trenta soldi.
Passeggere. Ecco trenta soldi.
Venditore. Grazie, illustrissimo: a rivederla. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. 



Giacomo Leopardi, Operette morali, 1832

martedì 29 maggio 2012

Quello che (non) ho

GENIO.
Siamo proprio sicuri che l'espressione un po' pazzoide di Einstein sia dovuta alla scoperta della futura, molto lontana, implosione dell'universo e non all'intuizione di una prossima, piuttosto a breve, involuzione della nostra società?
A chi ancora considera il dizionario un prezioso strumento del sapere sarà certamente capitato di imbattersi nella definizione di genio, e quindi saprà che la parola è di derivazione latina (dal latino genius, dal verbo genere, generare, creare) e con essa s’intende quella speciale attitudine naturale atta a produrre opere di importante rilevanza artistica, scientifica, etica o sociale.
Per tutti gli altri c'è la televisione. Per tutti quelli che non amano maneggiare strumenti cartacei e desueti ed hanno ricordi scolastici vaghi e confusi, la parola genio evoca personaggi estrosi, accattivanti, di vario talento. E ce ne è una discreta moltitudine a giudicare dalla frequenza con cui viene attribuito questo epiteto. Viviamo un'epoca di grande fermento di genialità, mai la storia ne ha conosciuta una eguale nei secoli passati.
Il genio dei nostri giorni meriterebbe una definizione apposita nei vocabolari, accanto a quella convenzionale.
E dunque, chi sono, oggi, queste persone dotate di una "speciale attitudine naturale"? Guardando ai modelli cui indirizziamo la nostra ammirazione, geni sono quei personaggi che rivelano una particolare capacità a costruirsi fama e ricchezza in un lasso di tempo breve. Mostrano una speciale inclinazione per l’autopromozione, sono abilissimi a tenere sempre viva l’attenzione su di sé, vantano una certa flessibilità nelle relazioni, nel lavoro, nei principi che governano la loro vita privata e professionale.
Evidentemente, è in corso un processo di semplificazione del linguaggio. Usare un termine "alto" per inglobarne molti altri di valore e significato diverso. Porre tutto sullo stesso piano, confondere qualità e mestieri, rifondare una nuova meritocrazia.
L'impoverimento di una lingua è lo specchio dell'impoverimento culturale di una nazione. E la conseguenza è che Einstein e Belen possono essere definiti entrambi geni, a prescindere dalla "rilevanza artistica, scientifica, etica o sociale" di ciò che hanno prodotto.
"Belen è un genio!" lo ha detto un altro noto genio, Roberto D'Agostino, qualche settimana fa durante la trasmissione Quelli che il calcio. Il suo grande merito era stato finire sulle copertine di tutti i rotocalchi più in voga per la nuova love story con l'ex fidanzato di Emma Marrone.
Bene, questi sono i frutti del duro lavoro e del tanto impegno. A persone come lei, e al sistema mediatico che le ruota intorno, dovremo dire grazie per aver contribuito a migliorare la nostra vita e accresciuto il nostro sapere.
Se Belen tornerà ad essere semplicemente una showgirl, bella, professionale, abile imprenditrice di sé, capace di sfruttare con furbizia il momento di successo, avremo restituito alla lingua italiana le tante sfumature possibili all'interno di un discorso articolato e agli italiani la capacità di distinguere, giudicare, chiamare le cose con il loro nome.

venerdì 9 marzo 2012

The Descendants



Il più delle volte sarebbe meglio rinunciare all'esercizio di tradurre e reinventare titoli. L'ultimo esempio è Paradiso amaro, versione italiana di  The Descendants.
Paradiso amaro riecheggia il prologo del film, quelle prime parole affidate alla voce narrante del protagonista, che suonano come un avvertimento: è folle chi pensa che gli abitanti delle Hawaii vivano perennemente in vacanza e siano immuni da problemi e sofferenze.
Lo spettatore, quindi, è presto messo in guardia: sappia da subito che non si troverà di fronte ad una storia in sintonia con l'ambientazione. Ma questa, per l'appunto, è soltanto una premessa.
The Descendants, invece, punta l'attenzione sui personaggi, gli eredi. In senso lato, e nel caso specifico, gli eredi sono coloro che ricevono un lascito e, contestualmente, la responsabilità di scelte importanti.
Matt King, il protagonista, è un avvocato e sta curando la vendita di una cospicua eredità terriera ricevuta, insieme ai cugini, da nobili antenati. È in gioco il futuro di uno dei pochi angoli dell'isola ancora non raggiunto dal cemento e dal turismo di massa e Matt è consapevole delle ricadute ambientali legate alla sua scelta.
Anche sul fronte degli affetti familiari Matt deve confrontarsi con situazioni difficili.
Si trova a dover essere l'esecutore del testamento biologico che la moglie, ora in coma irreversibile, si era preoccupata di redigere in tempi non sospetti.
Padre fino a questo momento poco presente, deve occuparsi delle due figlie e portarle progressivamente ad accettare l'idea che la madre dovrà morire. Deve anche informare parenti e amici perché possano, se lo ritengono, andare a porgere il loro ultimo saluto prima del distacco del macchinario.
Deve da ultimo, quasi per ironia della sorte, avvertire persino l'amante di sua moglie. Quest'ultimo obbligo morale costituisce il filone principale del film, e porta lo spettatore a seguire gli spostamenti di Matt sulle tracce del suo "rivale". È nelle varie tappe della storia che si coglie la contraddizione tra i luoghi paradisiaci, dove tutti sognano di andare almeno una volta, e la pena nascosta sotto le colorate camice a fiori di un uomo che in quella bellezza naturale ci vive. Il senso del film, però, non può restringersi a questo aspetto, non può essere solo il "paradiso amaro".
Non so se "Gli eredi" equivalga a "The descendants". Ho paura di no. Ho il dubbio che una traduzione letterale evocherebbe solo battaglie legali per la spartizione di soldi e beni immobili. In questo film c'è un'etica che aleggia su tutto. In virtù di solidi principi Matt King ha sempre avuto un rapporto equilibrato col denaro ed ora il suo senso di distacco, la sua mancanza di accanimento, gli consentono di avere un rapporto equilibrato anche con la morte.